Federico Mondelli è il cantante e chitarrista dei Be The Wolf, ottima band italiana che nel corso del tempo è riuscita a guadagnarsi attenzione ed un largo seguito attraverso una produzione musicale personale e riconoscibile che li ha portati su palchi prestigiosi come l’apertura del concerto di Milano lo scorso anno dei Winery Dogs (la superband formata da Richie Kotzen, Billy Sheehan e Mike Portnoy) e regolarmente nella programmazione di Virgin Radio. Da qualche anno, i Be The Wolf hanno valicato i confini nazionali raccogliendo un largo successo in Giappone dove sono stati ospitati più volte con tour da tutto esaurito, grande clamore sulla stampa rock locale ed interminabili sessioni di autografi e meet & greet. Ho avuto occasione di conoscere Federico qualche anno fa nel backstage di un club di Bologna durante un tour con i miei Hangarvain con i quali quella sera condividevamo lo show proprio con i Be The Wolf, e di approfondire la sua conoscenza a Torino scoprendoci in grande sintonia su alcune questioni musicali che ho sempre ritenuto cruciali ed imprescindibili. Ecco il resoconto di una recente chiacchierata fatta con Federico in cui abbiamo parlato di Giappone, promozione per le band emergenti e di come scrivere canzoni di successo!
1. I Be The Wolf sono stati più volte in Giappone dove godono di un grandissimo seguito e successo. Raccontami questa esperienza. Cosa ha significato per te come artista e che differenze ci sono tra la realtà musicale giapponese e quella europea?
A parte alcuni episodi nel Regno Unito non abbiamo una grande esperienza in merito alla realtà europea, quindi ti risponderò facendo riferimento solo a quella italiana.
Conosciamo tutti la proverbiale precisione del popolo nipponico, e infatti come ci si può aspettare, l’organizzazione del live nella sua interezza, dalla promozione alla gestione del palco, passando per la cura dei suoni e della strumentazione, è a dir poco impeccabile e precisa all’inverosimile.
A livello di pubblico, parliamo di un contesto completamente diverso rispetto a quello italiano, a partire dall’atteggiamento stesso dei singoli spettatori. La gente è focalizzata sulla band e sulla musica, l’attenzione e il rispetto nei confronti di chi suona sono sconcertanti se paragonati alla superficialità del pubblico italiano, perennemente diviso tra la smania di uscire per l’ennesima pausa sigaretta e gli schermi dei telefoni costantemente accesi.
Questa esperienza, per me come artista, ha significato tantissimo, e continua tutt’ora ad avere un peso non indifferente sulla mia vita, dal momento che mi ha permesso di estendere la mia collaborazione con diverse realtà come BURRN! Magazine, per cui scrivo da più di un anno.
2. Oggi in Italia i Be The Wolf sono senza dubbio una delle band di riferimento per la loro capacità di veicolarsi in termini di brand, cioè facendo in modo che dalla musica agli aspetti visuali e grafici, tutto sia riflesso e proiezione di una precisa identità artistica, di un concetto molto chiaro e coerente. So che ti occupi in prima persona di questi aspetti complementari alla musica. Quanto è importante, per te come artista ed in generale per una band in termini promozionali, affiancare alle canzoni, altri contenuti e strumenti espressivi collaterali alla musica stessa?
E’ a dir poco fondamentale perché l’immagine arriva, volente o nolente, sempre prima della musica, e la fruizione della stessa richiede decisamente meno tempo e attenzione.
E’ molto importante ovviamente che l’immagine sia coerente con il contenuto, dal momento che copertine, artwork e foto sono parte integrante del prodotto, e non un semplice accessorio. Niente va lasciato al caso, per un semplice motivo: se non sei tu a definire le caratteristiche del tuo progetto fino all’ultimo dettaglio, sarà il fruitore a farlo, e a giudicarti di conseguenza secondo la sua interpretazione, basandosi solo su quello che vede (e ovviamente che NON vede).
3. In passato ci siamo confrontati più volte su quanto sia ancora importante scrivere grandi canzoni, qualsiasi genere o stile si scelga. Questo trovo che sia uno degli elementi paradossalmente più trascurati dalle giovani band. Molti credono che il problema principale sia legato alla promozione o ai live, ma spesso non dedicano abbastanza tempo e cura nella stesura della loro musica. Vogliamo dare i 3 consigli di Federico Mondelli per scrivere una grande canzone?
Mi trovi molto d’accordo su questo argomento, del resto come tu stesso dici abbiamo avuto modo di parlarne a lungo. Ci sono tanti esempi di band incredibilmente valide e preparate sul fronte live, che rimangono nell’anonimato perché non hanno un singolo pezzo memorabile nel loro repertorio.
Non ho la presunzione di sapere cosa occorre per scrivere una grande canzone (né credo di averne ancora scritta una), ma conosco gli errori più comuni che tantissime band (e non solo giovani) fanno costantemente in fase di scrittura. Dato che mi chiedi tre consigli, ti risponderò con tre punti fondamentali.
1) La voce prima di tutto
Hai presente il classico chitarrista che entra in sala esordendo con “Ehi raga, ho scritto un pezzo”, suona una successione di riff tutto esaltato, e poi si rivolge al cantante e gli dice “ok, il pezzo è questo, ora cantaci su”?
E’ capitato a tutti di suonare almeno una volta con un tale personaggio (e credo comunque che questo tipo di approccio sia presente nella stragrande maggioranza delle band che conosco)
Ovviamente sappiamo tutti che il chitarrista in questione non ha affatto scritto un pezzo. Ha semplicemente composto una base, imponendo un giro di accordi e di conseguenza relegando, col suo approccio, la voce a semplice strumento accessorio.
Ora, ognuno ha il suo metodo, e non escludo che da una strumentale possa nascere una linea vocale memorabile. Ma è molto, molto probabile che la parte di chitarra finisca per limitare e condizionare la scrittura della melodia. Le linee vocali, così come i riff principali, hanno un’importanza primaria nel definire l’identità del pezzo, e non possono essere condizionati da ritmiche o giri di accordi stupidamente imposti in precedenza per partito preso.
2) Non tutti devono necessariamente comporre
Questo punto si ricollega in parte al precedente.
Spesso uno dei limiti più grandi delle band è l’ego dei singoli elementi, e la volontà di prendere parte attiva alla composizione anche se non se ne hanno le capacità. Le grandi canzoni della storia, nella stragrande maggioranza dei casi, sono state scritte da un singolo autore (o due, volendo esagerare), e chiaramente non può trattarsi di un caso.
Ci sono tanti aspetti fondamentali nella realizzazione di un brano oltre alla scrittura, come l’arrangiamento o la scelta dei suoni. L’approccio ideale sarebbe capire i limiti e le potenzialità di ciascun elemento e lasciar fare ad ognuno ciò in cui riesce meglio. Eppure spesso si preferisce non scontentare nessuno e assecondare le velleità compositive e le manie di protagonismo di ciascun membro. Il risultato non può che essere un collage messo insieme alla rinfusa, senza capo né coda.
3) Ascoltare, ascoltare, ascoltare
Non c’è consiglio più ovvio di questo, eppure conosco tantissimi che invece di ascoltare la musica, si limitano banalmente a sentirla.
Non si può scrivere un buon pezzo senza essere in grado di ascoltare con approccio critico un pezzo altrui (soprattutto se si tratta di un pezzo di successo).
Oltre a godere dell’ascolto di un pezzo che ci piace, dovremmo chiederci perché ci piace così tanto, cercare di capire le ragioni che lo rendono così memorabile e unico,
e soprattutto non limitarci solo alla musica che ci piace, ma allargare i nostri orizzonti e ascoltare i generi più disparati. Una canzone di Rihanna o di Lady Gaga non può che essere scritta in maniera impeccabile, perché confezionata dai migliori professionisti del settore (nel secondo caso, da una delle autrici e interpreti più talentuose degli ultimi anni). Una hit mainstream è nella stragrande maggioranza dei casi un esempio di scrittura di altissimo livello, e ascoltarla non può che essere istruttivo, anche se a livello di sound si discosta totalmente dal “genere” che abbiamo deciso di abbracciare con il nostro progetto. Il pregiudizio e la chiusura mentale sono decisamente i limiti più grandi per un aspirante artista.